martedì 10 giugno 2014

Indugia l’oscurità

Donna,
mi ricordo che ti piaceva il mio stato d’inettitudine
dinanzi la stagione di caccia delle infelicità.
Vorrei spedirtelo, è tuo, vorrei lo avessi per ogni evenienza.
Ora chissà, se senti ancora il silenzio?
L’aria qui è ferma, è evaporato il sole.
E’ troppo banale per te? No, e lo sai.
Mi dimentico di dimenticare se mai tu mi avessi cercato,
e straripano in questo letto di pensieri,
le gioie e il sangue, furiosi contro il lampo e il tempo.
Stai china sul precipizio degli occhi, ti vedo quasi,
col tuo calice colmo di battiti, e non bevi.
Che aspetti? T’ho detto, sono qua, io sto svanendo.
Poco resta da dire, la notte scende e ho paura,
tremo sul giaciglio, la luna scoppia e mi impedisce
ancora di morire ma mi danna a questa camera dei supplizi.
Senti la mia voce? Se mi ridestassi,
il cielo potrebbe salutarmi intenso,
e potrei scoprire di aver contemplato ciò la sera prima
della tua partenza, quando, nella stazione della mia
“morta gora”, le visioni del tuo indugiare
erano velate come il mare nell’oscurità.

Immagine dal web: Rita Hayworth & Glenn Ford in "Gilda", (1946)

Matilde Marcuzzo ©
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